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sabato 14 maggio 2011

L'Io che incontro nella natura

Il bello di arrivare in vetta è che, una volta raggiunta la cima, sei appagato, non hai più la necessità di salire, non hai più la spinta a farlo perchè hai raggiunto l'apice; nonostante gli sforzi, la fatica, le ore perse a marciare arrivi su e ti rendi conto che ne è valsa la pena, perché...il sole ti bacia, il vento ti accarezza e il tuo sguardo è appagato dall'illimitatezza della natura che dai tuoi piedi ti mostra il vuoto del fondo valle pieno di alberi che danzano al fischio del vento, ruscelli che scendono tranquilli e mesti, il lago in lontananza che riflette il blu acceso del cielo e la luce del sole.
Ti siedi, i rumori della natura ti avvolgono, il profumo dell'erba, degli alberi...chiudi gli occhi e non serve fare molto, ma la mente ti si svuota, ti senti leggero e stupendamente felice; ti allunghi, ti butti sull'erba e finalmente ritrovi te stesso.
Capisco gli eremiti, chi fugge dalla frenesia quotidiana che ci circonda; abbiamo perso la capacità di apprezzare i piccoli piaceri della natura, di rivalutare un uccellino che saltella e cinguetta fuori dalla nostra finestra. Troppo spesso non ci fermiamo ad osservare un fiore che sboccia in quella piccola fenditura di quel grigio cemento che ci arroghiamo il diritto di gettare ovunque perché ci semplifica la vita, ma ci priva del gusto di correre scalzi su un prato, di gettarci nell'erba, di vedere, a primavera, i mille colori, le mille sfumature che solo i fiori hanno.
L'uomo vuole comodità e comfort, ma siamo sicuri che privarci del piacere della natura ci faccia vivere meglio? Più la svalutiamo, più la priviamo del suo valore, più perdiamo noi stessi; l'uomo ha bisogno del rapporto con la natura per trovare se stesso e per stare bene con il suo io. L'umanità sembra non capire, continua a distruggere, a non rispettare annientando se stessa; sembriamo una massa di autolesionisti che sta costruendo un mondo freddo e apatico, abitato da pallidi manichini che non hanno la spinta, la voglia di raggiungere la vetta, ma hanno solo la capacità di dire “si signore” ai “padroni” che buttano cemento, che appoggiano delle politiche di distruzione della natura e quindi dell'uomo, o meglio, del vero uomo. Insomma una terra grigia abitata da automi privi di “io” perchè lo hanno seppellito nel cemento.
Non voglio che i miei figli abitino un mondo del genere; voglio vederli correre sull'erba, cadere e rialzarsi senza impattare sul solido e freddo cemento, voglio vederli apprezzare il fiore che diventa frutto, attendere che un germoglio sbocci.
A volte sono troppo ottimista, troppo fiduciosa che il prato possa sconfiggere il cemento, ma questo mio positivismo nasce dall'idea che un giorno i pallidi manichini tornino ad abbronzarsi al sole, che gli austeri automi arrivino a correre sotto la pioggia e scalzi sull'erba; tutto sarà possibile dal giorno in cui qualcuno avrà il coraggio di salire in vetta, di assaporare i piaceri della natura e gridarlo al mondo.

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