martedì 17 aprile 2012
La morte che ci presentano i media senza “la livella”
Chiudi gli occhi e non li riapri più; qualcuno la chiama morte qualcuno trapasso ad una vita migliore, principio e fine, morte e resurrezione, chi crede e chi non crede nell'aldilà, chi pensa che ci sia qualcosa oltre tutto quello che vediamo sulla terra e qualcuno che crede che ci sia il nulla. Oggi, non torno a scrivere per disquisire della fine che facciamo quando ci addormentiamo, quello che voglio valutare quest'oggi è come possa esserci una gerarchia della morte.
Quanti operai oggi muoiono sul lavoro? Quanti perdono la vita tutti i giorni per salvare la vita al prossimo? Eppure queste persone non arrivano neanche a fare numero nelle cronache, sono dimenticati da tutti.
Non voglio entrare in merito alla morte di nessuno, so che perdere qualcuno a cui si vuole bene fa male, ma non fa meno male se esso è operaio o calciatore o cantante. È morto un calciatore e tutto si è fermato, il calcio si interroga scrivono alcuni quotidiani... ma su cosa si interroga? Muore una persona ogni 7 secondi, gente piange ogni giorno eppure è diverso se muore un cantante, è diverso se muore un calciatore ed è diverso se muore un attore?
Totò nella sua famosa poesia la livella diceva che finalmente la morte era lo strumento che “riapparava” la società, ma nel 2012, con l'avvento dei media è realmente così? Siamo in una società dove le diversità sono molto più marcate di 50 anni fa, dove neanche la morte riesce più a livellare la nostra società. Io vorrei che la società dello spettacolo la smettesse di rendere spettacolare la fine della vita. Spettacolare, secondo il mio modesto parere, è la morte di un operaio che lavora 14 ore al giorno, che passa la vita a spaccarsi la schiena per pagare il pane ai propri figli, loro sono eroi che dovrebbero andare sulle cronache, perchè loro rappresentano una società malata, che se ne frega di morti sul lavoro e stragi di innocenti.
Muore un calciatore e giustamente chiediamo di avere defibrillatori a bordo campo, muore un operaio in nero in un cantiere edile e nessuno si chiede come rimediare a tutto ciò.
Quando si parla di morte non si può certo evitare di non pensare al cimitero di Spoon River... e pensando a Masters mi viene in mente una delle sue tante “lapidi” quella del marinaio che quando arriva alla fine della sua vita la sua vela si ammaina... come la barca del pescatore entra nel porto per ammainare le vele allo stesso modo prosegue lo yacht del miliardario e il barcone dell'immigrato, tutto si eguaglia alla fine della vita anche se una morte per errore della nostra società e dei media fa più scalpore, il traguardo si raggiunge tutti nello stesso modo, si supera la soglia e si vive di uguaglianza. Forse oggi è l'unica uguaglianza che ci resta.
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